Una pedagogia da ripensare

Il fenomeno sportivo ricopre ormai, nella nostra società, un ruolo sempre più delicato e diffuso, tale da impedircene un disinteressamento. Lo sport è un giuoco, un mestiere, una passione ed altro ancora, ma anche e, soprattutto, un fenomeno culturale dalle inequivocabili valenze pedagogiche[i].

Sempre attenta a declinare sul suo terreno ogni buona pratica formativa, la Scuola ha così posto sempre più attenzione all’educazione corporea, tanto da affermare, nella sua legislazione, che nell’attività sportiva si possono realizzare altissimi obiettivi educativi, acquisire competenze indispensabili alla formazione ed alla crescita dei giovani, come il dominio di sé, il senso della solidarietà, la capacità di collaborare per un fine comune, la valorizzazione del ruolo di tutti ed il rispetto del ruolo di ciascuno[ii].

Si tratta, quindi, di ri-pensare lo sport come un possibile e ricco canale di valori, una preziosa occasione di crescita umana e sociale.

Fare sport è un giocare con regole, in cui l’avversario, pur indossando una diversa maglia, è il necessario compartecipe d’una festa pregna di sana competizione. Allo sport, inoltre, non può essere misconosciuta la sua nobile funzione originaria al servizio della qualità della vita, onde concepirlo non come merce di scambio, bensì come attività psico-fisica e spirituale volta allo sviluppo della personalità. Nell’esplicitarsi, la performance sportiva pulsa di confronto, proclama l’altezza estetica del gesto e la concreta esigenza etica dell’affermazione di sé in comunità, sprigiona tutto un bagaglio fisico-emotivo frutto di sacrifici e rinunce. È tramite questi sforzi che l’atleta riesce a sondare l’effettivo spessore del proprio carattere, acquisendo sempre più fiducia nelle proprie capacità, implementando quel livello di autoefficacia che genera autostima.

La dimensione motoria è fondamentale per la valorizzazione

La dimensione motoria rappresenta un ambito decisivo di valorizzazione per chiunque la pratichi essendo agganciata all’esperienza immediata della corporeità. Categoria, quest’ultima, che oltrepassa la sensazione della mera passività dell’avere un corpo, sottolineando come essa sia una realtà valida ed attiva. Il momento della massima prestazione, gli ostacoli superati ed il traguardo raggiunto non sono solamente l’irrompere vigorosa dell’energia accumulata, né semplice sfoggio di potenza e di tecnica, ma piuttosto il trionfo della volontà di farcela. La carica agonistica è innegabilmente una componente essenziale dello sport.

Partecipare è certo prioritario, ma lo è altrettanto il non perdere mai di vista gli obiettivi prefissatisi. Senza quel carburante che proietta in avanti non v’è tensione, slancio.

Educare, pertanto, attraverso l’attività sportiva, riveste oggi un’importanza determinante per una società che voglia guardare lontano e promuovere valori profondamente umanizzanti, quali la persona umana, la rettitudine come prassi di buona condotta morale, la lucidità nel misurarsi con l’altro, la propensione all’interculturalità, la responsabilità sociale e la rappresentanza di gruppo, il fair-play, la gestione della leadership e del ruolo. Valori socializzanti e che educano innanzitutto alla gratuità. Lo sport è, dunque, una delle “case” dell’educazione perché è una pratica di valore. È un diritto umano, al di là e prima di qualsivoglia strumentalizzazione[iii].

Esso è contro l’utilitarismo, l’edonismo, il vuoto salutismo; mira, al contrario, nella sua migliore accezione, ad un’idea di uomo più alta.

Un umanesimo integrale, che si premuri di orientare l’uomo verso il pieno raggiungimento d’un equilibrio esistenziale e d’una sintonia sociale, pronto ad agire per il bene comune attingendo alle sue energie con il corpo e con l’anima, con il cuore e la coscienza, l’intelletto e la volontà[iv].

Quanto anzidetto non esclude, però, la possibilità di ricordare la consistenza di più fattori negativi che purtroppo hanno alterato la fisionomia di quest’importante attività umana. Lo sport, infatti, lungo il corso degli anni, ha innegabilmente assunto caratteristiche assai diverse rispetto alle sue remote origini, tanto che in molti adesso ammettono di non avvertire alcun trasporto nell’assistere ai fin troppo numerosi e disparati tornei. Sostanze dopanti, violenza sugli spalti come per le strade, corruzione dilagante, compensi irragionevoli e non di rado intrecciati ad affari illeciti hanno così indotto svariate persone a scostarsi da quello che viene così percepito come uno stravolgimento del senso del gareggiare.

Può tutto ciò favorire l’esercizio d’una “palestra comune” con il concetto di fraternità? Una risposta esaustiva richiederebbe molte più righe, nonché più articolate argomentazioni. In questa sede, però, chi scrive ritiene di poter dire che ci siano ancora ampi margini per far sì che la risposta al precedente quesito sia affermativa; occorre tuttavia aggiungere che, per tutelare da simili brutture lo sport ed i suoi protagonisti, sia necessario in via preliminare invertire il senso di marcia sul peso da attribuirgli. È una questione pedagogica. Le principali agenzie educative continuino a favorire la pratica sportiva, garantendone diffusione e principi sottostanti, ma, al contempo, non trascurino di chiarire ai propri figli/allievi l’autentica dimensione dello sport, quale sia il posto che esso deve occupare nella vita di ciascuno, facendo capir loro che un match non è una battaglia e che gli sportivi di professione, di qualsiasi specialità, in fondo non sono gli eroi dell’era post-moderna. Ma ancor prima, gli adulti si assumano la piena responsabilità sulle modalità di come far passare nel modo migliore questo messaggio educativo; di certo, ciò non avverrà fintantoché ci si avvarrà d’un telecomando e di una parabola come se questi fossero scettro e corona da far pesare/valere nella gestione delle vicende famigliari. Primo atto educativo sia l’esempio. I ragazzi comprenderanno e lo spirito di fratellanza che nello sport aleggia riacquisterà tutta la risonanza che esso merita.

Francesco Paolo Calvaruso
tratto da www.conoscereperessere.it

NOTE

[i] Cfr. G. FARINELLI, Pedagogia dello sport ed educazione della persona, Morlacchi Editore, Perugia 2005. Si vedano pure A. CARRARO, Educare attraverso lo sport: una riflessione critica, in «Orientamenti Pedagogici», 51 (6), 2004, pp. 969-980; L. DE ANNA, Progettare e promuovere Attività Motorie e Sportive Integrate nella formazione di persone con disabilità, in «L’integrazione scolastica e sociale», 4 (1), 2005, pp. 39-45; G. MARI, Sport e educazione, in «Pedagogia e Vita», 65 (3-4), 2007, pp. 154-175.

[ii] MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Più sport a scuola e vince la vita. Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per lo sport a scuola, in http://www.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/prot17_07.shtml.

[iii] N. FILIPPI, Per una pedagogia dello sport, in «Pedagogia e Vita», 63 (4), 2005, p 101.

[iv] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, p. 6.

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