Sport, giovani a rischio
C’è troppa violenza nello sport giovanile, altro che isola felice. A denunciarlo è l’Unicef in un rapporto di pochi giorni fa, in cui si punta il dito contro atteggiamenti aggressivi di allenatori, dirigenti, assistenti e compagni di squadra, che trasformano in un incubo la palestra di vita. Molti sopportano per un po’ e poi smettono, segnati da disturbi psicologici e fisici che sono conseguenze di maltrattamenti, sovrallenamento, molestie sessuali e prepotenze varie. Non è un bel quadro, quello che esce dal rapporto Unicef, anche perché media e federazioni tendono volentieri ad ignorare il lato oscuro del pianeta sport.
Eppure i problemi ci sono, e sono tanti. Per cominciare, i piccoli atleti sono spesso considerati macchine da spremere, soldatini che devono solo obbedire e crescere in fretta. Il dialogo non è previsto, nessuno chiede la loro opinione. Dovrebbero divertirsi, invece soffrono in silenzio.
«Il mio allenatore spingeva i ragazzini ad allenarsi anche quando erano infortunati – spiega una ginnasta citata nel rapporto -. La sua filosofia era: se non sanguina, non devi preoccuparti…». Altri parlano di spinte, percosse, urla a pochi metri dal viso. C’è anche chi abusa sessualmente, lo si è scoperto negli anni Novanta. Prima d’allora, nessuno aveva indagato sul fenomeno.
La prima organizzazione a raccogliere dati su questa piaga è stata l’associazione amatoriale di nuoto del Regno Unito, che però si è scontrata con l’omertà delle piccole vittime, terrorizzate dall’idea di subire altre violenze. Uno studio in Danimarca ha avuto maggior fortuna: su 250 studenti impegnati in attività agonistiche, il 25% ha detto di aver subito molestie dal proprio allenatore o di aver avuto notizia di episodi del genere a danno di propri amici. La violenza sportiva ha molte forme: si può manifestare anche in privazioni di acqua e di cibo, così come in sedute prolungate in sauna. Il tutto per perdere peso e aumentare le prestazioni. Pratiche aberranti che sfociano facilmente nell’anoressia e che sembrano diffuse soprattutto nella ginnastica e nell’atletica. I soprusi spuntano anche all’interno dello spogliatoio, attraverso i riti di iniziazione. In Norvegia, il 30% di un campione di 1514 giovani atleti tra i 12 e i 16 anni è stato vittima di bullismo. Umiliazioni, abusi fisici e psicologici: gli allenatori spesso non fanno niente per impedire questi cerimoniali da caserma, anzi.
A volte li favoriscono perché dopo aver superato la prova, dicono, ci si sente parte del gruppo. Una logica perversa, che molti non reggono. Sono tantissimi gli abbandoni in età acerba: lo sport diventa un brutto ricordo da lasciarsi alle spalle il più in fretta possibile. Nel rapporto Unicef non manca un richiamo al doping e all’abuso di alcol, che circola in quantità in certi campus e nei ritiri e che innaffia proprio i riti di iniziazione. Quando la squadra si trasforma in branco, a farne le spese sono soprattutto i più deboli e i diversi: nel mirino dei persecutori finisce chi ha la pelle scura, chi è omosessuale, chi è afflitto da piccoli handicap. «Il nostro allenatore di hockey ci incitava a battere gli avversari dicendo che tra di loro c’erano molti gay», spiega un sedicenne australiano citato nel dossier. Che fare allora per tenere gli “orchi” lontano dallo sport? Prima di tutto servono campagne informative, che in pochi intraprendono. «Molti Paesi industrializzati devono ancora riconoscere la necessità di mettere i bambini al riparo dalla violenza che circola nell’ambiente sportivo», ammonisce l’Unicef.
Servirebbero codici etici e severe sanzioni disciplinari, che però finora nessuno ha scritto. Qualche esempio virtuoso arriva dal Canada e dall’Inghilterra, ma sono eccezioni. In Italia, tra i pochi a battersi per la causa di uno sport più pulito e rassicurante c’è il Panathlon. Ma per ora sembra una lotta contro i mulini a vento, nel gran deserto dell’indifferenza generale.