Enzo Bearzot: in memoria di un uomo e di uno sportivo
È ricordato come colui che ha guidato la Nazionale alla conquista del Mondiale del 1982. Mi piace rimarcare alcuni aspetti del suo profilo di uomo e sportivo, per non ricordarlo solo per il titolo conquistato, ma per la grande persona che era e per l’eredità umana e sportiva che ci lascia in consegna.
Dopo l’esperienza un po’ deludente del 1986 (l’Italia termina agli ottavi contro la Francia) Bearzot, “il Vecio”, come veniva soprannominato, si dimette con queste parole: “Per me allenare l’Italia era una vocazione che, con il passare degli anni, è diventata una professione. I valori del gioco sono cambiati dai miei tempi. A causa dello sviluppo del settore e dell’ingresso sulla scena di grandi sponsor, sembra che il denaro abbia spostato i pali delle porte“.
Duro, risoluto e schivo, tuttavia incredibilmente umano, Bearzot è sempre stato molto vicino ai suoi giocatori, guardando all’uomo prima che al calciatore, ha sempre saputo tenere unito lo spogliatoio e ha sempre promosso il lato ludico dello sport, senza mai lasciarsi travolgere dall’eccitazione degli eventi o dal valore della posta in palio.
Negli ultimi anni Bearzot ha scelto di prendere le distanze da tv, radio e giornali e di non comparire: “Oggi le istituzioni del calcio non contano, tutti urlano in televisione e tutti parlano male di tutti. Mi dà fastidio vedere ex arbitri che criticano gli arbitri e allenatori che criticano i loro colleghi, senza alcun rispetto, dimenticando le responsabilità che uno ha. E allora me ne sto a casa e non rispondo a nessuno“.
Nel ’90 era stato quasi male dalla rabbia, sentendo fischiare l’inno dell’Argentina: “che vergogna! L’inno è sacro! Cosa costa stare zitti per quei due-tre minuti? Poi ce ne sono novanta per fischiare i giocatori”. Lui che non sopportava la classica frase da tifoso: “La cosa più bella è vincere un derby su autogol al 92′”. “No, la cosa più bella è vincere giocando bene e meritando di vincere“.
Un uomo serio. Un uomo onesto. Un uomo leale. Uno che dava e chiedeva rispetto. Un uomo sincero. Un secondo padre (per Zoff, Conti, e anche per Rossi). Un uomo di frontiera.
“Bearzot mi ha insegnato ad avere rispetto per gli avversari”. Beppe Bergomi, 18enne ai Mondiali dell’82, ricorda come il suo commissario tecnico gli avesse ricordato ad avere sempre rispetto per gli avversari. “Ricordo un mio gol all’Ascoli, l’ultimo di un 5-0. Fare gol per me non era facilissimo ed esultai in maniera un po’ esagerata. Bearzot, quando lo incontrai alcuni giorni dopo mi ricordò che quella squadra stava retrocedendo e quindi che c’era modo e modo per esultare perché meritava rispetto. L’insegnamento dei suoi valori è stato fondamentale per me e per la mia carriera”.
don Claudio Belfiore