Fabbrica di ragazzi campioni?

Molti potevano essere i titoli all’articolo dell’inviato Marco Mathieu, pubblicato su Repubblica il 23 dicembre 2009, e come è risaputo il titolista è una figura professionale distinta dal giornalista, tuttavia rimane intensa la sgradevole sensazione che deriva dall’infelice formula “attira lettori” del titolo: «Fabbrica di ragazzi campioni».

Il riferimento è al Barcellona, con i suoi sei trofei vinti in una stagione, alle meraviglie di Leo Messi, migliore giocatore del mondo, Pallone d’Oro e Fifa World Player 2009, e alla cura speciale e soddisfacente che viene prestata al settore giovanile, nella «cantera del Barça».

Nel dizionario dallo spagnolo all’italiano la parola “cantera” viene tradotta con “cava, fucina”, che dice molto di più e meglio della parola fabbrica, che sa troppo di catena di montaggio, di lavoro freddo e distaccato, dove si ha a che fare con prodotti e materiale inerte: la parola cantera in modo figurato rimanda a «quel luogo, quell’ambiente in cui si forgiano grandi ingegni, prestigiose personalità».

La “Masia”

Nel corso dell’articolo pubblicato è questa l’immagine che ne emerge, laddove si riporta che la “Masia”, la cascina, ospita «60 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni; le giornate sono scandite da orari che differiscono a seconda dell’età: sveglia alle sette, colazione, e alle otto tutti a scuola, fino all’una e mezza. Pranzo, riposo, compiti e studio. A seguire, allenamenti. Poi cena e un paio d’ore di svago. Alle undici, luci spente. Ci sono anche le espulsioni, per mancato rispetto delle regole. Fino ai 18 anni sono vietati piercing, tatuaggi e capelli colorati. Devono imparare l’uguaglianza e il rispetto, per distinguersi contano solo le capacità sportive. Alcool bandito, niente telefonini a tavola».

Di questi adolescenti si occupano Carles Folguera, 41 anni e da 8 direttore della Masia; Ruben e Ricard, professori che seguono gli aspiranti campioni nello studio; due cuochi, sette persone di servizio e l’addetto alla vigilanza che garantiscono pasti, pulizie e sicurezza della casa; Josefina Brazales, 47 anni, responsabile del personale.

Nulla da dire sull’esperienza della cantera e sulle scelte della dirigenza del Barcellona, che ha saputo costituire una preziosa equipe e creare una positiva tradizione che prosegue dal 1979 e da cui proviene il 50% degli attuali giocatori della prima squadra.

Qualche considerazione invece è doverosa a partire dalle illusioni di cui può essere facile preda chi intravede in tutto questo una strategia di mercato con “campioni prodotti su scala commerciale”, a cui facilmente può alludere la parola fabbrica usata nel titolo dell’articolo citato. Questo è un meccanismo già in qualche modo presente nelle varie scuole calcio e squadre giovanili assiduamente frequentate dai vari procuratori e procacciatori, a volte lupi rapaci a caccia di prede a beneficio dei propri guadagni.

Si calcola che ad ogni campione che “sfonda” corrispondano circa 20.000 ragazzi che rimangono ai margini, spesso con grandi delusioni. Qualcuno l’ha definita la “strage degli innocenti del calcio”. Don Juan Vecchi, amato e saggio Rettor Maggiore dei Salesiani, scrisse: «Quando un uomo organizza lo sport in ordine al guadagno, pensa allo spettacolo. Per lo spettacolo si comperano e si coltivano i campioni». E sappiamo che oggi lo spettacolo è finanziariamente una delle industrie più produttive e redditizie.

È doveroso favorire la sviluppo del talento personale, è corretto offrire ambienti e percorsi di potenziamento delle capacità personali, è saggio accompagnare la crescita del giovane calciatore che punta in alto, ma mai dimenticarsi che il calcio non è il tutto della vita e che sempre si ha a che fare con giovani persone. Questo lo hanno capito alla Masia ed è così riportato da Carles Folguera, il direttore: «L’obiettivo è accompagnare questi ragazzi verso l’esordio nel Barça, ma sappiamo che pochissimi ce la possono fare: dobbiamo educarli comunque alla vita».

Ci auguriamo che questa sia la sensibilità e la visione di ogni operatore dello sport.

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