Sport educativo: la sostanza non sta nelle sigle

Preamboli

In questo testo riporto tematiche, obiettivi, orientamenti, frutto di incontri, raduni e scambio di opinioni avuti a diversi livelli: nazionale e locale, salesiano ed ecclesiale, in gruppo o a tu per tu, con confratelli e con operatori sportivi. Ovviamente il contenuto di questi incontri era, in un modo o nell’altro, la sfida legata allo sport.

Ritengo utile e doveroso focalizzare i punti fondamentali, sia per esigenza di semplificazione che per non far deviare l’attenzione su problematiche secondarie.

L’obiettivo è evitare il rischio di non centrare la vera sfida e di adottare soluzioni non adeguate alle reali esigenze pastorali

La domanda

A ben pensare per noi salesiani e per chi opera nei nostri ambienti la sfida educativa non è cercare di capire se lo sport è portatore di valori (spirito di sacrificio, socializzazione, prevenzione, potenziamento delle capacità personali, tutela della salute…): valori evidenti e in più occasioni ribaditi sia in ambito ecclesiale che civile. La vera domanda si pone nei seguenti termini.

  1. Qual è il valore dello sport nella nostra pastorale (= l’agire della comunità cristiana)?
  2. E soprattutto: a quali condizioni lo sport è realmente portatore di valori nella e per la nostra pastorale?

Mi dirai: ma sono due le domande! Solo all’apparenza. Per un discorso di concretezza e di onestà non serve, anzi può essere addirittura deleterio, definire il valore di un certo agire pastorale, se poi non si pongono le condizioni effettive perché quanto delineato possa essere “agito” e non solo “parlato”.

Liberiamo subito il campo da una possibile e semplicistica obiezione: “Ma nello statuto noi abbiamo le finalità a cui ci ispiriamo e siamo promossi da un ente di promozione sportiva di ispirazione cristiana…!” Non è una questione di sigle o etichette: PGS piuttosto che CSI o Federazioni o in autogestione. Mi pare che sia estremamente vero ciò che tutti ci diciamo e applichiamo in campi diversi: non basta essere battezzati per dirsi cristiani, così come non basta andare in una scuola cattolica per uscirne “credenti praticanti”, né è sufficiente giocare in una società sportiva che ha sede presso una parrocchia o un oratorio per dire che si fa sport educativo e in modo diverso da come lo praticano nelle altre società sportive.

L’obiettivo

Il motivo per cui si chiede ad ogni realtà e ad ogni operatore sportivo una seria e sincera valutazione delle proprie attività, proposte e organizzazione è per promuovere una più profonda identità e motivazioni in vista di una più proficua e mirata missione.

Alcuni spunti tematici

Qui di seguito mi permetto di offrire in modo sintetico alcuni spunti tematici essenziali sullo sport con cui ogni consiglio direttivo di società sportiva in prima battuta e poi insieme ad ogni comunità educativo pastorale in cui opera la società sportiva devono confrontarsi per dare significato pastorale allo sport e per non tradire la propria missione nei confronti degli atleti che il Signore ci ha affidato. Mi sono permesso di usare un termine forte, “devono”, perché in effetti è così: non è un “pallino” di qualcuno o una moda passeggera, è un’esigenza che deriva dal nostro essere a servizio dei ragazzi e dei giovani.

La prima citazione, di Benedetto XVI, ci offre il criterio per orientare e dare senso alla nostra presenza nell’ambito sportivo: “La Chiesa segue e si prende cura dello sport, praticato non come un fine a se stesso, ma come un mezzo, come strumento prezioso per la formazione perfetta ed equilibrata di tutta la persona (discorso ai partecipanti ai mondiali di nuoto, Roma 2009)”. “Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e spirituale. Infatti, quando sono finalizzate alla sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani (messaggio in occasione del seminario di studio pontificio su “Sport, educazione, fede: per una nuova stagione del movimento sportivo cattolico”, 3 novembre 2009)”.

La seconda citazione è del Rettor Maggiore don Pascual Chávez, tratta dalla relazione ci sui sopra: “La presenza salesiana nel campo dello sport continua ad essere importante e può essere molto significativa, raggiungendo molti ragazzi e giovani che diversamente non riceverebbero una proposta educativa. Ma, per questo, si deve essere fedeli alle scelte tipiche salesiane: centralità della persona del giovane, presenza animatrice degli animatori e adulti tra i giovani, coraggio di proposte educative che stimolino i giovani ad andare oltre, volontà di evangelizzazione… Dobbiamo essere nell’ambito sportivo della nostra società una presenza che promuova una forma alternativa di sport, al servizio delle persone e della loro crescita integrale”.

La terza citazione, più lunga e sulla quale riflettere e confrontarsi quasi ogni giorno a mo’ di esame di coscienza, riprende la terza parte della già citata relazione di don Juan Vecchi (1983), dal significativo sottotitolo “Condizioni e itinerari”. La riporto quasi al completo facendone un capitolo a parte.

Più in profondità

“A quali condizioni il gioco e lo sport sono interessanti dal punto di vista educativo e pastorale?

Non è il fatto materiale, inerte e grezzo dello sport consumato passivamente a produrre la desiderata crescita del ragazzo, ma la qualità dell’incontro che il giovane fa con lo sport, mediato dall’educatore. Non è lo stesso fare sport semplicemente e fare educazione nello sport. Non a qualunque condizione lo sport risulta educativo. Ci sono, infatti, a riguardo dello sport, diversi tipi d’interventi, tutti legittimi, ma con finalità diverse.

Ci può essere un gruppo di persone che si propone di organizzare uno spettacolo sportivo, affinché l’utente usufruisca e paghi. Non entra nelle sue preoccupazioni che questi cresca o meno in determinati valori. Ci può essere un intervento di tipo politico per regolare l’uso sociale.

L’intervento formalmente educativo si caratterizza dalla finalità di far crescere le persone non soltanto nei valori più immediatamente legati allo sport, come la capacità motoria o la competitività, ma nella loro totalità.

Perché il nostro intervento sia educativo e pastorale ci vogliono, dunque alcune condizioni. Nello sforzo di individuarle troveremo anche le linee su cui progredire. Ne enuncio solo quattro.

Prima condizione

Prima condizione è acquisire una conoscenza appropriata e sistematica del fenomeno sport. Ciò vuol dire superare l’informazione frammentaria, aneddotica e superficiale, per approfondire il significato e l’influsso che lo sport ha sullo sviluppo del giovane e sulla cultura. Con parole un tantino serie si direbbe possedere una «antropologia dello sport».

Si sa che nella società attuale lo sport è affermazione individuale, distensione personale e talvolta collettiva; ma è anche organizzazione, commercio, rito e divertimento massificato!

Quando noi cerchiamo di entusiasmare i giovani, trasciniamo, mescolati nella nostra proposta, sia gli elementi buoni che gli elementi devianti. Se questi ultimi prendono una supremazia indebita, lo sport diventa alienazione.

Spingendo le cose su una certa linea, potremo fare dei consumatori di attività sportive: spingendole su un’altra linea possiamo formare un uomo che apprezza la sua corporeità, che è capace di un incontro anche ludico con gli altri, che cerca con concretezza il suo più conveniente equilibrio.

Questi aspetti non si scoprono se non si è capaci di considerare da educatore il prodotto che tutti consumano. Non ci sarà una pedagogia dello sport se gli animatori sportivi non sono capaci di individuare quali valori umani sono rafforzati e quali invece sono mortificati in una data concezione dello sport.

Pensate voi che una persona potrebbe educare nella scuola senza sapere per niente i significati e le interpretazioni che vengono travasate nelle conoscenze che insegna? Conoscenza dell’area sportiva vuol dire sapere che cosa comunichiamo, quando offriamo una proposta sportiva.

Seconda condizione

Nell’intervento puramente commerciale i fini soni lo spettacolo e il guadagno. I fini si riferiscono alle cose. Le persone sono strumenti.

Procedere con criterio educativo è mettere la persona al di sopra dell’organizzazione, al di sopra dello spettacolo e al di sopra dei trofei.

Quando un uomo organizza lo sport in ordine al guadagno, pensa allo spettacolo; quando l’organizza in funzione dei trofei, pensa alla vittoria; quando lo prepara educativamente, spettacolo, guadagno e trofei sono secondari e funzionali allo sviluppo della singola persona che viene aiutata attraverso l’attività sportiva. Per lo spettacolo si comperano e si coltivano i campioni; nell’educazione si coltiva il ragazzo «normale».

Procedere con criterio educativo è avere un obiettivo: la crescita integrale. Lo sport non interessa soltanto come esercizio motorio e diversivo, ma come possibilità di fare con le persone un dialogo su tutti i valori che le interpellano. L’agonismo è importante, ma non è il valore supremo, né l’unico. Lo sguardo dell’educatore non svuota gli aspetti colti e cercati dal ragazzo in un primo approccio con lo sport, ma si apre anche ad altri aspetti che sottostanno. Lo sport non è un’esperienza «risolutiva»: deve agganciarsi ad un piano personale e sociale più vasto.

Cercare la crescita integrale richiede di percorrere certi itinerari educativi, attraverso i quali da ciò che immediatamente si coglie nello sport stesso, si va oltre e si abilita il giovane a vivere da uomo quegli atteggiamenti che lo accompagneranno anche fuori del momento sportivo.

Procedere con criterio educativo vuol dire, infine, applicare un metodo basato sulla presenza e il rapporto personale. Mi spiego con una battuta: chi non intende fare un intervento educativo organizza un locale o uno spettacolo e li gestisce a distanza o attraverso impiegati. È un manager! Come altri offrono macchine o sigarette, lui offre attrezzature e strutture.

Scelta del metodo educativo significa essere presente al ragazzo, individualizzando e personalizzando: arrivare a ciascuno di questi giovani o ragazzi per comprendere insieme la loro vita e aiutarli a darle unità, qualità e orientamento.

In ciò sta la differenza tra un organizzatore dello sport e un educatore nello sport: il primo può avere un rapporto lontano e indiretto e può trattare la realtà in termini di numeri, di date, di organizzazione; il secondo invece tratta con le persone in modo immediato, in termini di valori, di esperienze e significati.

Se si assumono questi criteri, cioè la persona sull’organizzazione, la crescita dei ragazzi sullo spettacolo e sui trofei e il rapporto personale sull’efficienza, una palestra e un cortile possono essere equivalenti ad una scuola..

Terza condizione

Una terza condizione, una volta conosciuto il fenomeno che trattiamo e assunto un criterio educativo, è costruire itinerari educativi e pastorali costantemente riformulati man mano che vengano collaudati dalla pratica. L’itinerario è costituito da una serie di traguardi collegati verso mete finali, con indicazioni pratiche di atteggiamenti, contenuti ed esperienze per percorrerli. Questi itinerari devono portare un giovane dalla prima esperienza spontanea dello sport, che consiste nel fruire del movimento, della competizione, dell’affermazione, verso obiettivi più alti, come sono la collaborazione, il rispetto dei rivali, la crescita della responsabilità sociale.

Alcune indicazioni molto generali per camminare in questo essere totali riguardano la presa di coscienza del carattere effettivamente alienante di molto sport. Poiché il giovane che gioca e che va al campo sportivo deve essere cosciente delle caratteristiche della cultura del suo tempo, non può ignorare i pericoli di mercificazione che ci sono in un certo fenomeno sportivo e deve saper distinguere quando lo sport è al servizio dell’uomo e quando, al contrario, lo prende nelle sue reti. Prendere coscienza è arrivare ad una comprensione profonda dei meccanismi di manipolazione che ci possono essere nello sport.

Un altro traguardo dell’itinerario: sviluppare le possibilità educative specifiche dello sport, per esempio il senso della corporeità, il valore della vita di insieme, il senso della disciplina e dello sforzo, il rispetto delle norme.

Il fondatore delle Olimpiadi, Pierre de Coubertin, pensava che lo sport era una nuova forma dell’educazione alla convivenza democratica a livello internazionale. Secondo lui, attraverso le grandi manifestazioni e i confronti sportivi, si poteva educare la gente alla accettazione ragionevole di una disciplina sociale concordata, alla partecipazione intensa e all’accettazione dei diversi ruoli delle persone, basati sull’eccellenza e sul servizio.

Un terzo passo: sviluppare i valori concomitanti che non emergono dalle attività sportive in sé, ma appartengono alla situazione, ad un contesto in cui si pratica lo sport. Si tratta di creare un ambiente umano, ricco di esempi e di valori, nel quale vengono inserite le attività ludiche.

Finalmente occorre collegare l’attività sportiva con altre aree ed esperienze. Lo sport non può essere un compartimento stagno che non comunica con le altre esperienze e attività e momenti della vita. Bisogna fare un raccordo delle esperienze di modo che le une influenzino le altre.

E così come esistono itinerari educativi, così esistono anche itinerari che sono tipicamente pastorali, non posteriori o dissociati dai primi.

Alcune indicazioni per essi potrebbero essere la «desacralizzazione dello sport», spogliarlo cioè di una certa autosufficienza in ordine alla soddisfazione dei bisogni; evidenziare il suo carattere subalterno rispetto ad altri problemi e desideri dell’uomo: non è la cosa principale e, se riesce a prendere tutto il cuore e tutta la mente, diventa un «idolo» e provoca dipendenza.

Si possono poi accogliere e sollevare domande di senso, quelle cioè che le situazioni esistenziali provocano e a cui l’educatore può dar risposta.

È questo il momento in cui l’educatore saggio sa guidare il giovane, non dando soluzioni facili ed immediate, ma abilitando alla serietà della ricerca e a superare l’indifferenza e il qualunquismo davanti agli interrogativi dell’esistenza. Ancora si può annunciare il senso cristiano e trascendente della vita attraverso un insieme di stimoli privilegiati vicini e, forse, interni all’esperienza ludica e sportiva. Attraverso lo sport si può difatti persino coinvolgere nel servizio del prossimo.

Quarta condizione

Ecco allora una quarta condizione per un intervento educativo nello sport: l’esistenza di una comunità che sia soggetto dei processi di crescita, attraverso forme di coinvolgimento, dialogo e partecipazione. Ciò aggancia il discorso a tre punti, ai quali accenneremo soltanto: la comunità di riferimento, il gruppo di animatori, il ruolo dei salesiani.

Quando l’organizzazione sportiva si inserisce in un ambiente giovanile più largo (es. un centro giovanile) è interessante dare e ricevere, affinché l’ambiente offra una proposta ricca e articolata. Partecipare alla vita e alle decisioni della comunità e completare il proprio programma con quello che le altre componenti offrono è un’indicazione fondamentale.

Ma all’interno del gruppo sportivo e della comunità totale ci sono gli animatori. Questi hanno un ruolo-chiave. Prima abbiamo affermato che i salesiani vanno all’incontro di tutti i giovani disponibili. Ma tra questi ci sono di quelli che mostrano disposizione a prestare un servizio con il loro lavoro. Ecco che all’interno del grande numero emerge un gruppo scelto e capace, che va aiutato a progredire.

Il compito dei pochi salesiani e FMA si riferisce principalmente e in primo luogo a questi animatori: alla loro qualifica cristiana, professionale e salesiana. Sono gli animatori degli animatori.

Cosa vuol dire animare una comunità educativa? Coinvolgere attivamente nella definizione di obiettivi e linee operative; favorire la partecipazione, unire le persone, costruire la comunione. Animare vuol dire anche curare la formazione permanente.

Il futuro di un’associazione dipende dalla capacità di aiutare i propri collaboratori a crescere. Delle associazioni sportive hanno sofferto degrado, dopo partenze promettenti, perché non avevano quasi nessuna preoccupazione di tenuta e di progresso, cioè non rivedevano né orientamenti, né lettura della realtà, né itinerari, preoccupati soltanto dell’organizzazione; soprattutto non rafforzavano la capacità delle persone con nuove sintesi, prospettive e abilità.

Le persone perdevano così la carica di animatori e di educatori insieme all’incisività d’intervento.

La formazione permanente si sviluppa soprattutto su tre fronti. In senso professionale, che comporta il dominio delle conoscenze e della prassi pedagogica; in senso cristiano, e ciò comporta l’approfondimento dell’identità cristiana e la capacità di annunciare il Vangelo; e, per gli ambienti salesiani, sul fronte salesiano che include la conoscenza delle scelte tipiche, la loro “fondamentazione”, la loro applicazione pratica.

In associazioni come la vostra lavorano pochi salesiani insieme a molti laici. I salesiani dovrebbero essere i motori, cioè persone che curano soprattutto la qualità, la carica umana e cristiana di coloro che collaborano.

Concludendo. Il gioco e lo sport hanno un legame particolare con i salesiani, e questo non è un fatto irriflesso, ma è collegato a scelte volute e confermate: la scelta del campo giovanile, la scelta dell’educazione, la scelta della missionarietà, la scelta di determinare linee operative.

In quest’area noi possiamo avere un intervento educativo e pastorale solo a certe condizioni. È interessante che ribadiamo il buon proposito di rimanere, ma da educatori e da pastori per la maturazione umana dei giovani e per la crescita della loro fede”.

Conclusioni… di avvio

Terminata la citazione di don Vecchi, anch’io posso concludere questo scritto, sperando che possa tornare utile a ogni singolo operatore e alla comunità educativo pastorale nel suo insieme.

Segnalo alcune attenzioni particolari, provando a concretizzare su alcune scelte specifiche e forse anche strategiche:

  • prima che l’anno pastorale volga al termine organizzare con tutti gli operatori dello sport due appuntamenti per ripensare la pastorale dello sport (entro maggio);
  • il salesiano incaricato verifica che l’ambito sport sia adeguatamente presente nel consiglio pastorale e oratoriano;
  • salesiani e consiglio direttivo, entro giugno, mettono in calendario la formazione di allenatori e dirigenti: quali e quanti incontri; formazione con la CEP e formazione specifica;
  • salesiani e consiglio direttivo definiscono insieme il calendario dell’anno pastorale: appuntamenti comunitari e per le singole fasce di età, l’attenzione all’anno liturgico, manifestazioni particolari;
  • salesiani e consiglio direttivo condividono criteri e modalità per la scelta degli allenatori e per la qualifica di dirigente sportivo.

Lo sport educativo si qualifica per le scelte concrete e coerenti che vengono attuate: in questo testo ne sono emerse alcune a titolo esemplificativo, ma le più significative e vere sono quelle nate dalla valutazione e dalla decisione prese in comunità che pensa, si confronta e decide il meglio per i ragazzi e i giovani atleti che il Signore gli ha affidato.

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