Uno sport a misura dei 29.999
La scena è frequente e riconoscibile: ragazzi e ragazze con borsone in spalla davanti allo spogliatoio pronti a vivere la “magia” dello sport.
Lo stesso si può dire di altrettanti giovani, adulti e anziani che abbandonate le comodità di TV, videogame e internet si immergono in una salutare sudata: si parla di circa 17 milioni di persone che praticano sport con una certa continuità e di altri 16 milioni di persone che comunque svolgono attività fisica (cfr rapporto CONI 2008), cioè più di metà della popolazione italiana.
Cosa ci trovano di bello nel praticare sport? Perché dedicarsi a un’attività che chiede fatica, sudore, impegno? Le ragioni che spingono a praticare sport sono molteplici e si mescolano in un cocktail con un dosaggio del tutto personale. Tuttavia è facile riconoscerne gli ingredienti fondamentali: benessere fisico, divertimento, socialità, soddisfazione, sfida…
Ci sono poi delle ragioni indotte, cioè generate per influsso di sistemi esterni alla persona: l’enfasi pervasiva e saturante dei “media” sullo sport di eccellenza, sempre più business-sport dove tutto diventa spettacolo e affari, sta purtroppo falsando le motivazioni della pratica sportiva e di conseguenza il senso del fare sport. Questa delicatissima situazione, non certo nuova, ma sicuramente non più trascurabile, interpella e sfida innanzi tutto i genitori, perché è dei loro figli che si tratta, ma passa necessariamente attraverso quelle figure educative a cui va incontro ogni giovane sportivo con il suo borsone: l’allenatore, il dirigente, lo staff tecnico, il prete, la suora.
Educare allo sport
A tal proposito paradigmatica e illuminante è l’affermazione riportata nel prezioso e ancora valido documento ecclesiale Sport e vita cristiana (1995) al n 35: «Quando l’uomo organizza lo sport per il guadagno, tende allo spettacolo; quando in funzione dei trofei, mira alla vittoria; quando in funzione educativa, pensa alla persona».
Se è vero che nel calcio solo un ragazzo su trentamila “sfonda” (qualcuno asserisce che è un dato ancora troppo ottimistico!), se ha fondamento quanto dichiarato dalla Comunità Europea nel libro bianco dello sport nel 2007 al capitolo 2 («oltre a migliorare la salute dei cittadini europei, lo sport ha una dimensione educativa e svolge un ruolo sociale, culturale e ricreativo»), se guardiamo ai giovani come «porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società» (Don Bosco), non ci resta che tirare le somme: organizzare sport in funzione educativa, cioè pensando alla persona.
Come salesiani in Italia abbiamo fatto una scelta di campo: la Partita Educativa nello Sport (PES). È la campagna sociale con cui intendiamo sensibilizzare e formare operatori e genitori per una nuova cultura sportiva.
Si tratta di imparare a guardare allo sport con occhi nuovi, più critici e motivati, per non cadere nei lacci del successo e della vittoria, e alla conseguente selezione dei migliori ed esasperazione del contrasto; per non scivolare nell’illusione della fama e della gloria; per non considerare la pratica sportiva come semplice passatempo o comodo baby parking; per non fare dello sport un’opportunità mancata a danno dei ragazzi e dei giovani.
Facciamo nostra l’affermazione di Pierre de Coubertin: «lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere compensata».
L’essenziale è che sia uno sport che «pensa alla persona».